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Colf, badanti e caregivers: un’occupazione femminile

Nonostante i cambiamenti sociali e demografici degli ultimi decenni, il lavoro di cura di colf, badanti e caregivers resta un’occupazione femminile.

Nonostante i cambiamenti sociali e demografici degli ultimi decenni, il lavoro di cura di colf, badanti e caregivers resta un’occupazione femminile.

Abbiamo incontrato la Dott.ssa Chieregato, dottoranda in Diritto del Lavoro europeo all’Università di Verona per parlare con lei di discriminazioni nel mercato del lavoro, lavoro di cura e persistenza del divario di genere per colf, badanti e caregivers

Dott.ssa Chieregato, perché nel 2020 il lavoro di colf, badanti e caregivers resta un’occupazione al femminile?

La figura della donna è da sempre associata alla maternità, alla cura, alla dedizione per la famiglia e per gli affetti. Da questo retaggio consegue l’aspettativa sociale, ancora molto forte, per cui sono le donne a doversi occuparsi della casa, dei figli e dei familiari non autosufficienti, anche quando queste hanno un lavoro.

Così, secondo i più recenti dati, il 67% del lavoro familiare è svolto dalle donne, ed è soprattutto sulle donne che grava, principalmente, la necessità di conciliare la vita lavorativa con le esigenze familiari.

Come riportano gli ultimi dati ISTAT, sono soprattutto le donne ad aver modificato qualche aspetto della propria attività lavorativa per meglio adattare il lavoro alle esigenze di cura dei figli, ed un numero ancora consistente di donne interrompe l’attività lavorativa dopo la nascita di un figlio, o per prendersi cura di un familiare non autosufficiente.

Sono infatti principalmente donne le caregivers familiari, ossia le persone che si prendono cura – in maniera gratuita e continuativa – di un familiare non autosufficiente.

“…l’88,7% delle collaboratrici familiari (colf) e degli assistenti familiari (“badanti”) in Italia sono donne..”

Le norme sociali e di genere (che indicano non solo chi dovrebbe svolgere il lavoro di cura, ma anche chi sarebbe più portato a svolgere queste attività) si riflettono anche sulla composizione del settore domestico, ossia su chi decide di fare del lavoro di cura, svolto al di fuori del proprio nucleo familiare, la propria occupazione. Secondo gli ultimi dati ultimi dati dell’INPS, riferiti al 2019, l’88,7% delle collaboratrici familiari (colf) e degli assistenti familiari (“badanti”) in Italia sono donne. In particolare, sono donne il 92,3% delle 407.422 badanti registrate.

L’aumento dei bisogni di cura delle famiglie italiane e la carenza di servizi pubblici di assistenza ha portato all’espansione del settore domestico, oramai divenuto un pilastro del welfare italiano, Il settore conta 848.987 persone regolarmente registrate, ma, al di là dei dati ufficiali, le stime di Assindatcolf parlano di quasi 2 milioni di assistenti e collaboratrici familiari. Nonostante l’espansione del settore, la centralità e la necessità del lavoro di cura dimostrata dalla pandemia di Covid-19, il lavoro di cura resta ancora un lavoro poco riconosciuto, poco tutelato e poco retribuito, anche a causa della sua caratterizzazione come di un “lavoro da donne”.

Secondo lei, il lavoro di cura è un esempio della persistenza del divario di genere in ambito lavorativo?

La forte segregazione di genere nel settore dell’ assistenza e della cura, così poco tutelato ha avuto delle conseguenze negative rilevanti sulla persistenza del divario di genere in ambito lavorativo.

Il retaggio, o meglio, gli stereotipi di genere secondo cui la cura sarebbe un’attività e un’attitudine “femminile” (ed in particolare delle donne immigrate), che non richiede quindi alcuna competenza, qualifica o formazione, ha portato non solo a svalutare le competenze richieste per svolgere il lavoro domestico, ma a sminuire l’importanza, anche economica, di questa professione. Come afferma la sociologa Chiara Saraceno (2018), il fatto che il lavoro di cura «sia stato e sia in larga misura affidato alle donne come parte del loro ruolo di genere ne ha nascosto sia la necessità sociale sia il valore».

Come si pongono gli organi governativi e statali di fronte a questo divario di genere?

Lo stesso ordinamento non riconosce appieno il lavoro delle assistenti e collaboratrici familiari, a cui non sono estese tutte le tutele garantite agli altri lavoratori. Colf e badanti sono escluse dalla disciplina sulla salute e sicurezza sul lavoro, non hanno diritto al congedo parentale, e sono soggette ad un calcolo diverso dei contributi previdenziali. Possono inoltre essere licenziate senza alcun motivo, salvo il preavviso.

L’emergenza Covid-19 ha reso ancora più evidente il diverso trattamento delle lavoratrici nel settore. Il decreto “Cura Italia”, ha infatti escluso espressamente colf e badanti dalle misure emergenziali di sostegno al reddito previste per tutti i lavoratori. Nel successivo “Decreto Rilancio” è stata introdotta un’indennità specifica per le lavoratrici domestiche, che opera tuttavia solo per le lavoratrici non conviventi. Per colf e badanti non vige né il divieto di licenziamento, né il congedo straordinario e il bonus babysitter previsti dagli ultimi decreti.

Non solo questa differenziazione normativa comporta una minore tutela delle lavoratrici domestiche, ma legittima inoltre la considerazione che il lavoro di cura sia un lavoro “diverso”, meno rilevante in quanto “non produttivo”, e quindi un sia da trattare come un lavoro di serie B.

Infine, si deve ricordare la rilevanza in questo settore del lavoro nero e “grigio” (ossia, dichiarato solo parzialmente), per cui molte donne lavorano in condizioni irregolari, senza alcuna copertura previdenziale e assicurativa.


‘..Il decreto “Cura Italia”  ha escluso espressamente colf e badanti dalle misure emergenziali di sostegno al reddito previste per tutti i lavoratori…’


La scarsa attenzione del legislatore ad un settore che vede un’ampia concentrazione di lavoratrici, e che incide così profondamente sulla capacità di coprire i bisogni familiari di altre lavoratrici, colpisce in modo particolare le donne, contribuendo così alla persistenza del divario di genere. È sempre più necessario porre il settore domestico al centro del dibattito pubblico, in considerazione non solo dell’importanza del lavoro di cura prestato dalle donne nel sistema di welfare italiano, ma anche della sua rilevanza per la promozione delle pari opportunità.

Quali sono le misure per promuovere l’equità di genere nel lavoro di cura?

Nel 2011, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha adottato la Convenzione n. 189 sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici, un trattato in cui richiede agli Stati di adottare una serie di misure per assicurare condizioni di lavoro dignitose per le lavoratrici domestiche. Questo testo è rilevante poiché si afferma, per la prima volta, la rilevanza economica del lavoro di cura, reagendo alla tradizionale invisibilità e sottovalutazione di questa occupazione.

Nel suo studio Care Work and Care Jobs”, l’OIL ha individuato alcune misure per valorizzare la centralità della cura, per promuovere la qualità del lavoro delle donne in quanto badanti e caregivers, e per migliorare anche la qualità della cura fornita alle persone più vulnerabili.

misure per promuovere l’equità di genere nel lavoro di cura

Misure per valorizzare la centralità della cura, per promuovere la qualità del lavoro delle donne

  • Considerare la questione di genere nel settore dell’assistenza a lungo termine, e promuovere una più ampia partecipazione degli uomini alle attività di cura, anche attraverso la creazione di congedi remunerati per fornire assistenza.
  • Tutelare l’attività di cura prestata gratuitamente in famiglia, riconoscendo un’indennità economica e tutele previdenziali per i caregivers.
  • Assicurare una giusta retribuzione e condizioni di lavoro dignitose per chi presta lavoro di cura. In particolare:
    • Assicurare la parità di trattamento delle lavoratrici domestiche, estendendo loro la disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro, tutela della genitorialità, orario di lavoro e periodi di riposo, disciplina dei licenziamenti e copertura previdenziale prevista per gli altri settori.
    • Promuovere un contratto collettivo di categoria (attualmente in Italia sono più di venti, con rischio di dumping contrattuale), verificando la rappresentatività sia delle associazioni datoriali sia delle parti sindacali.
  • Promuovere la qualificazione e la professionalizzazione del lavoro di cura, fornendo programmi di formazione per le lavoratrici e attuando procedure a livello europeo per il riconoscimento, l’armonizzazione e la trasferibilità delle qualifiche acquisite.
  • Favorire la regolarizzazione del lavoro domestico sommerso, prevedendo sgravi contributivi, deduzioni e detrazioni fiscali che non scarichino l’intero costo della cura sulle famiglie, e prevedendo permessi di soggiorno per le lavoratrici straniere.

Elisa Chieregato

Dottoranda in Diritto del Lavoro europeo all’Università di Verona, si occupa di discriminazioni nel mercato del lavoro, lavoro di cura e riproduttivo, politiche di genere e conciliazione lavoro-famiglia. Ha collaborato con la Commissione Europea, dove si è occupata di diritto antidiscriminatorio. Ha studiato alla Scuola Superiore Sant’Anna e alla London School of Economics and Political Science, dove ha ottenuto un Master in Gender, Policy and Inequalities.

Puoi seguire Elisa Chieregato e le sue ricerche su: LinkedIn

Se sei interessata/o tematiche riguardanti i caregiver leggi anche sul nostro blog: https://www.linkabili.it/la-solitudine-del-caregiver/

Una risposta.

  1. […] della professione è un aspetto fortemente legato allo sfruttamento. Lo ha spiegato, in un intervento, la dottoressa Chieragato, dottoranda in Diritto del Lavoro europeo […]

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